Il lavoro privato di cura interroga il sistema dei servizi

di Franca Olivetti Manoukian - Studio Aps, Milano
Ottobre 2005

 

Sul lavoro di cura si è detto, scritto, argomentato, dibattuto molto negli ultimi anni: penso ad esempio - per vicinanze - ai contributi che in articoli, libri e convegni sono stati proposti da Grazia Colombo o da Paola Piva o da Patrizia Taccani, anche ricollegandolo al tradizionale ruolo delle donne. Si è anche cominciato ad esplorare (si veda tra altre la ricerca condotta a Reggio Emilia con la consulenza di Gino Mazzoli ) come sia nato e come si sia sviluppato il lavoro delle assistenti familiari straniere (badanti).

Non ritorno su questi lavori, di cui credo sia importante tenere ben conto. Non sono in grado di proporne un'analisi e tento meno una sintesi e credo che sia piuttosto opportuno che vengano ripresi nelle esperienze, nei collegamenti e nei confronti, nella circolazione di idee e riflessioni a cui questa Newsletter  intende dare visibilità e sostegno.

Scelgo piuttosto, per contribuire ad avviare un'iniziativa di questo genere, di suggerire uno sguardo insieme più interrogativo e più ampio, che permetta di collocare questa realtà rispetto alle vicende che travagliano in questi anni i servizi sociali o sociosanitari e rispetto al senso che va prendendo nella nostra società tutto ciò che ha a che fare con il "curare". Per attenermi alla concisione richiesta dalle norme redazionali (ben congruenti col progetto di mettere in comunicazione), espongo alcune ipotesi per punti, sperando che la sinteticità non comprometta la chiarezza e che non faccia presumere un'assertività  improponibile rispetto ai contenuti trattati.

• La parola "cura" che si è affermata contemporaneamente nel linguaggio medico (trattare, intervenire, guarire) e nel linguaggio amministrativo-giuridico (curatela, curatore) contiene una promessa di benessere (inteso come guarigione o come protezione, tranquillità) e un'idea di delega da parte di qualcuno che è in condizione di difficoltà o di debolezza a qualcun altro che è in grado attraverso la sua competenza e diligenza di renderlo "sano" e "se-curo", perché non ha nulla da temere.

• Attese di trattare ogni tipo di disagio e atteggiamenti di delega agli operatori hanno circondato e accompagnato la nascita e l'espansione dei servizi sociali e sociosanitari pubblici: hanno dato impulso e legittimazione al loro operare e insieme li hanno bloccati rispetto alla valutazione e al riconoscimento della loro attività.

• Il moltiplicarsi e il complessificarsi delle richieste  e il ridursi delle risorse si traduce in pressioni nei confronti  dei servizi pubblici ("sotto assedio"), ma anche  ricerca di altre risposte che appaiono più adeguate, perché più flessibili, più a portata di mano, più aggiustabili e manovrabili, gestibili in modo autoreferenziale, senza controlli e pedaggi.

• L'"adeguatezza" delle risposte non è attentamente considerata o meglio è valutata più in rapporto alla "facilità"con cui si può ottenere attività di cura che in rapporto a ciò che viene effettivamente realizzato: una volta acquisito che non si può avere  guarigione definitiva e neppure sicurezza garantita , non si guarda tanto per il sottile.

• La disponibilità ad adattarsi alle più varie e meno garantite condizioni di svolgimento dell'attività è offerta da chi nel nostro contesto sociale è più di altri in situazione di precarietà e di privazione. E' forse anche per questo che le donne straniere che migrano in Italia con o senza contratto di lavoro si dice che fanno un lavoro privato?

• I "bisogni" di cura e gli stessi "bisogni" di lavoro possono essere considerati "bisogni" privati, ovvero bisogni che si possono soddisfare da parte di ogni persona in un ambito intimo, prescindendo dal quadro più complessivo in cui si è collocati? Non sono forse bisogni (il termine è insoddisfacente e improprio, ma per ora adottiamolo così) che hanno a che fare con la partecipazione sociale?

• Ambedue questi tipi di bisogni (di cura e di lavoro) non possono essere immediatamente tradotti in diritti , soltanto attraverso l'emanazione di dichiarazioni e di definizioni normative : anzi, quando per riconoscere ciò che è ritenuto necessario , prioritario e imprescindibile, ciò che è visto come esigenza primaria da tutelare, si deve ricorrere al dettato legislativo, spesso significa che si tenta di fissare qualche cosa che rischia di essere acquisito e praticato meno di quello che sarebbe auspicabile, qualche cosa che tende ad essere sottovalutato e disatteso.

• Fenomeni di sfruttamento delle donne straniere da parte delle famiglie  o viceversa non potrebbero essere letti come indizi di una condizione di dissolvimento di tradizionali tessuti sociali, da più autori - Bauman, Beck, Touraine, Benasayag, Schmit… -  più volte segnalata? indizi di quel dissiparsi e allentarsi di legami sociali che tutte le più innovative opportunità di comunicazione non riescono a contenere? di un disperdersi di comunanze e riconoscimenti dell'essere tutti insieme parti in causa che rendono possibile il con-vivere negli stessi territori? di un disorientamento di risposte rispondenti - e pertanto responsabili - alle questioni drammatiche che agitano la nostra quotidianità? di un "si salvi chi può" che è in contrasto con le possibilità di mantenimento e sviluppo di una società civile?

Quando gli viene chiesto dove è suo fratello, Caino risponde in modo sprezzante e provocatorio "sono forse il custode di mio fratello?", esprimendo con rabbia il rifiuto di un legame sociale originario e inevitabile che ci lega tutti entro uno stesso contesto, uno stesso destino.

Affrontare le questioni del "lavoro di cura" nelle loro diverse declinazioni, nelle loro potenzialità ed oscurità ci chiama a riconsiderare ciò che è costitutivo di una vita sociale.

Da parecchi decenni ci ripetiamo che gli individui che fanno parte di quel pezzo di mondo che ci siamo abituati a chiamare società occidentale sono portatori tutti degli stessi diritti alla salute, all'assistenza e alla sicurezza, al lavoro: questi non possono essere garantiti al di fuori del riconoscimento dell'esistenza di legami ineludibili tra gli uni e gli altri. Il benessere di un singolo, non può essere "singolare", non è immaginabile al di fuori da una considerazione delle questioni che inquietano la convivenza di tutti.

 

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