Badanti: dopo la sanatoria

di Sergio Pasquinelli - Istituto per la Ricerca Sociale, Milano
Ottobre 2009


La regolarizzazione di colf e badanti ha portato a risultati inferiori a molte aspettative. Propongo alcune osservazioni su tre punti: perché si può considerare modesto l’esito raggiunto; quali ragioni hanno portato a questi risultati; quali scenari si aprono davanti a noi.
 

Successo o insuccesso?
Fermatesi a 294mila , solo una minoranza delle domande presentate, il 38 per cento, ha riguardato badanti anziché colf. E naturalmente non tutte si tradurranno in regolarizzazioni effettive: un dato che conosceremo solo fra molti mesi.
Siamo lontani dalle attese. Il Viminale si era spinto a prevedere tra le 500 e le 750mila domande. Altri (tra cui chi scrive ) avevano abbassato l’asticella a 300mila posizioni, ossia circa la metà dei clandestini stimati nel lavoro domestico, colf + badanti.
Successo o insuccesso? Rispetto a certe previsioni, un flop. Un risultato comunque piuttosto limitato rispetto ai dati di realtà, la platea potenziale, pari ad almeno 600mila persone.


Che cosa è andato storto?
La regolarizzazione ha avuto costi e benefici. Il problema è stato che i benefici sono andati quasi solo a favore del lavoratore (colf e badanti), i costi prevalentemente a carico del datore di lavoro (le famiglie). Per la popolazione immigrata irregolare la sanatoria è stata l’occasione per ottenere il tanto agognato permesso di soggiorno: in molti non ci speravano più. Una grande conquista a costi relativamente ridotti.
Non è stato così per le famiglie. Per loro l’unico beneficio era quello di uscire dall’illegalità, dando lavoro a un clandestino. Ma molte famiglie non hanno evidentemente dato a questo grande rilevanza. Diciamo che non hanno tremato di paura per il rischio di diventare penalmente perseguibili.
Allo stesso tempo, sulle famiglie sono ricaduti la maggior parte degli oneri. I quali presi uno ad uno avevano un peso relativo, ma è la loro somma, sottovalutata, che ha fatto la differenza. I 500 euro forfettari non sono di per sé una cifra astronomica, ma sono stati evidentemente un buon deterrente psicologico. Il minimo di 20 ore alla settimana per cui il lavoratore doveva essere assunto ha escluso una larga fetta di mercato, quella del lavoro a ore, oggi in crescita. La complessità dell’iter procedurale ha fatto la sua parte.

Ma la resistenza maggiore è dovuta al dover assumere e pagare d’ora in poi tutti gli oneri contributivi, rientrando in un contesto di regole, di diritti e di doveri. Molte famiglie non ci sono state, non hanno voluto, non se la sono sentita.
Un atteggiamento in linea con la risposta molto tiepida che hanno finora trovato gli assegni di cura regionali rivolti a chi impiega un’assistente familiare (1).


Una politica per la non autosufficienza
Se guardiamo l’ambito specifico del lavoro di cura, le 90-100 mila assistenti familiari regolarizzate faranno scendere la quota di irregolarmente presenti in Italia dall’attuale 38% a circa il 27% del totale delle badanti straniere, secondo nostre stime.
Dopodichè, come per i provvedimenti una tantum precedenti , l’effetto tenderà a svanire nel giro di pochi anni, tanto più se mancheranno investimenti per motivare e qualificare questo settore, renderlo meno aleatorio, collegarlo con la rete pubblica dei servizi.

E qui si aprono le prospettive sul dopo-sanatoria.
Il governo ha davanti a sé due possibilità. La prima è quella di non dare sostanzialmente seguito a questo provvedimento, di usarlo come “una delle cose più importanti che ha fatto il governo per le famiglie”. Visti i numeri, si tratta tuttavia di un argomento non solidissimo.
Oppure, si può usare questa sanatoria come un’opportunità, attraverso un piano di interventi finalmente strutturali per la non autosufficienza. Diverse sono le azioni possibili. A partire dal rifinanziamento del “Fondo per la non autosufficienza”, dotato finora di risorse limitate, meno di 400 milioni annui. Un Fondo che dia le gambe al potenziamento dei servizi domiciliari pubblici, usufruiti oggi dal 4,5 per cento degli anziani, contro una media europea che è il doppio (www.maggioli.it).
Va poi pensato a come rendere le misure attuali più efficaci.
L’indennità di accompagnamento è una fonte importante con cui si pagano le badanti: la riceve un anziano su dieci, per una spesa di oltre dieci miliardi di euro all’anno. Una misura granitica: nata 30 anni fa e da allora mai più toccata, insensibile al livello di non autosufficienza e al reddito del percettore, senza alcun controllo sul suo utilizzo. Maggiorazioni graduate per chi dimostra un uso appropriato delle somme (tra cui una badante regolarmente assunta) e riduzioni per chi invece non è in grado di farlo potrebbero rendere questa misura più efficace nel sostenere la non autosufficienza.
Sull’onda di questa sanatoria si può inoltre avviare un piano di formazione che coordini i percorsi regionali. Sono nove le regioni che hanno definito iter formativi per le assistenti familiari. Disomogenei per contenuti proposti e durata, e con un impatto ancora molto modesto. Sono necessari indirizzi coordinati a livello nazionale, impulsi univoci, in raccordo con il sistema delle professioni sociali.
Legando tra loro questi interventi - servizi, sostegni economici mirati e formazione - potremo iniziare a costruire davvero un’alternativa credibile alla solitudine del mercato sommerso.

 
Nota

(1) Cfr. C. Gori, S. Pasquinelli, Gli assegni di cura, in C. Gori (a cura di), Le riforme regionali per i non autosufficienti, Roma, Carocci, 2008.
 

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