Perché lo staff leasing non va bene per le famiglie

di Silvana Fabrizio - Istituto per la Ricerca Sociale, Milano
Giugno 2010

 

La finanziaria 2010 (legge n. 191/2009) ha reintrodotto il cosiddetto “staff leasing”, ossia la somministrazione a tempo indeterminato, ampliandone l’ambito applicativo ai settori produttivi pubblici e privati, nei servizi di cura e assistenza alla persona e di sostegno alla famiglia.
 
Sicuramente nel settore del lavoro di cura, se correttamente applicata, la somministrazione a tempo indeterminato potrà servire a sgomberare il campo da tanti appalti non genuini, di cui si sente spesso parlare e che si realizzano quando l’appaltatore, pur assumendo i lavoratori e destinandoli a svolgere la propria attività lavorativa in un'impresa terza appaltante (es. casa di riposo, ospedale, ecc…), li abbandona nella sfera organizzativa di quest'ultima, che li guida e li dirige. In questo caso non è l’appaltatore a gestire concretamente il rapporto di lavoro, bensì l'appaltante, rimanendo in capo all’appaltatore /datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto.
 
La somministrazione pone fine a tutto questo perché offre maggiori tutele e garanzie ai lavoratori, assunti a tempo determinato o indeterminato da un’agenzia per il lavoro autorizzata, che li destina a svolgere la loro attività lavorativa presso un’impresa terza utilizzatrice [1]

Tuttavia, se per grosse realtà socio-sanitarie si può ipotizzare che lo staff leasing sia appetibile, è difficile immaginare che possa avere un’applicazione di rilievo tra le famiglie.
 
I veri vantaggi che lo staff leasing o comunque la somministrazione in generale offre, sono due:
 
  • ­chi utilizza la prestazione di lavoro, in questo caso la famiglia, è sgravata dagli adempimenti legati alla gestione del rapporto di lavoro, perché in questa forma contrattuale il datore di lavoro non è la famiglia ma l’agenzia di somministrazione;
  • ­l’agenzia si fa carico di reperire celermente il lavoratore. 
 
A questi indubbi vantaggi si contrappongono altrettanti potenziali svantaggi:

  • ­il maggior costo economico del ricorso a questa forma contrattuale: perché bisogna remunerare non soltanto il costo contrattuale relativo alla prestazione offerta dall’assistente familiare, ma anche i costi sopportati dall’agenzia per la ricerca e selezione della figura professionale più idonea e il compenso per l’attività che essa svolge;
  • ­il rischio di veder svilito quel carattere fiduciario del rapporto di lavoro che richiede una elevata professionalità nella gestione dell’intermediazione e della selezione dell’assistente familiare.
     
Queste ragioni mi inducono a ritenere che possa essere maggiormente efficace collocare il servizio di assistenza familiare rivolto sia alle famiglie che ai lavoratori che prestano assistenza familiare, nell’ambito del sistema regionale dei servizi al lavoro, utilizzando un modello di servizi a rete per una offerta integrata di prestazioni di intermediazione, informazione ed assistenza.

E’ un modello che la Regione Veneto[2] per prima sta sperimentando e che in altre regioni e province è oggetto di sperimentazioni territoriali seppur non ancora in un’ottica di servizi integrati.
 
La strada seguita dal Veneto è stata quella di istituire un elenco regionale di operatori pubblici e privati che si accreditano a svolgere i predetti servizi e una Rete di sportelli di assistenza familiare, con lo scopo di attivare una rete di soggetti pubblici e privati in grado di offrire servizi qualificati principalmente su tre aree: informazione, consulenza e supporto, mediazione per l’incontro tra domanda e offerta a favore delle famiglie e dei lavoratori.
Questo modello rappresenta una strada ed un’opportunità concreta per far emergere una richiesta di bisogno e di sostegno, quella delle famiglie, e una richiesta di riconoscimento professionale e di tutela, quella delle assistenti familiari, entrambe intercettate in molti casi da un mercato del lavoro sommerso e spesso illegale, parallelo al mercato del lavoro regolare.


[1] Rispetto al regime degli appalti dei servizi, occorre però segnalare il maggior costo dei servizi offerti dalle agenzie di somministrazione, che rende più oneroso il ricorso a questa forma contrattuale.

[2] Cfr. delibera del 15 dicembre 2009 n.3905: si veda l'intervento di Giselda Rusmini in questo numero.
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