Assistenti straniere: uno spazio per ritrovare tempo

di Giselda Rusmini - Istituto per la Ricerca Sociale, Milano
Marzo 2016


Le assistenti familiari che si prendono cura di anziani non autosufficienti in Italia, in larga parte straniere, svolgono un intenso lavoro di relazione, dove sono in gioco non solo la competenza professionale, ma anche il capitale sociale e umano. La loro professione richiede una dedizione quasi esclusiva, comporta spesso la co-residenzialità con la persona assistita e viene sovente svolta in condizioni di impiego informali. Fattori che rendono estremamente difficile conciliare le esigenze lavorative con la vita personale e familiare. 

Nell’ambito del progetto Lavoro domestico e di cura: buone pratiche e benchmarking per l’integrazione e la conciliazione della vita familiare e lavorativa”, realizzato da Soleterre e dall’Istituto per la Ricerca Sociale, è stato condotto un percorso sperimentale per favorire la conciliazione lavoro – famiglia – vita personale delle assistenti familiari straniere.

 

Uno spazio di ascolto e di cura

La sperimentazione è durata 4 mesi e ha visto la realizzazione di 13 incontri con un gruppo di assistenti familiari presso un locale nel centro di Milano, messo a disposizione dal Comune. Lo spazio di ascolto e di cura - inteso come luogo di espressione, inclusione e benessere psico-sociale - è stato progettato e coordinato grazie ad uno staff multidisciplinare composto da un counselor del lavoro, una psicologa e un’antropologa.

Le partecipanti sono state individuate a partire dal database fornito dallo Sportello Badanti del Comune di Milano (progetto CURAMI) e da quello di Soleterre. Al termine dell’attività di contatto, 21 donne si sono dette intenzionate a partecipare agli incontri (cui se ne sono aggiunte 8 tramite passaparola), mentre 17 interessate alle attività, ma impossibilitate a parteciparvi, si sono rese disponibili per delle interviste. Si tratta di numeri contenuti, a fronte della mole di contatti, che testimonia della grande difficoltà di queste donne nel ritagliarsi del tempo per sé.

Durante il percorso sono stati curati gli aspetti relazionali del gruppo, per favorire dinamiche di fiducia e di auto-aiuto, di benessere e di svago, aspetti fondamentali per la “decontaminazione” dal ruolo lavorativo pervadente;  sono stati affrontati i temi dei diritti del lavoro, della migrazione e delle opportunità offerte dai servizi territoriali a sostegno dei migranti e dei loro bisogni; infine, si è dato spazio all’esplorazione e alla riconciliazione con la loro storia ed esperienza nel Paese di provenienza e nel Paese di accoglienza, rispetto alle loro relazioni significative.

 

Prima della sperimentazione: la soddisfazione per le relazioni sul lavoro e in famiglia

Quanto le donne intervistate sono soddisfatte degli aspetti della propria vita legati alle relazioni sul lavoro e al di fuori di esso? A sorpresa, la relazione mediamente più soddisfacente è quella con l’assistito, seguita da quella con i familiari dell’anziano/a e dalle relazioni sociali al di fuori del lavoro, in Italia. Le relazioni “vicine”, ossia quelle che avvengono qui e ora, sembrano essere vissute meglio di quelle “lontane”, più dolorose. In particolare, risulta piuttosto contenuta la soddisfazione riguardante il rapporto con i figli. Molte donne, in proposito, hanno sottolineato il dispiacere per una lontananza che fa soffrire (“La vorrei più vicina”, “Vorrei essergli sempre vicina, vorrei stare là”, “Li sento vicini, ma mi mancano tanto. Sento un vuoto”). Nel complesso, l’aspetto più insoddisfacente, per le assistenti familiari, riguarda il tempo dedicato a sé stesse.

In sostanza, si verifica un paradosso: le assistenti familiari straniere vivono una frattura relazionale molto importante, ma si pretende che siano in grado di offrire una buona relazione ai loro assistiti.

 

Dopo la sperimentazione: quale cambiamento?

Come è cambiata la situazione delle assistenti al termine degli incontri? La differenza di risposta fra il gruppo di donne che hanno partecipato al percorso sperimentale e quelle che non vi hanno preso parte è netta: le prime mostrano un miglioramento in misura molto superiore alle seconde.

Le lavoratrici che hanno seguito gli incontri hanno riferito in larghissima parte (7-8 su 10) un miglioramento per gli aspetti della propria vita inerenti le relazioni sociali al di fuori del lavoro, il tempo dedicato a sé stesse in termini di quantità e di qualità, e la soddisfazione per la propria vita in generale (“Mi ha emozionato venire qua e col tempo ho avuto un cambiamento molto importante: ogni volta che uscivo di qui mi sentivo meglio”, “Prima durante la mia ora di riposo non uscivo, non andavo da nessuna parte, ora esco, mi sento più disinvolta”, “Qui abbiamo trovato un forte sostegno, la possibilità di sfogarci e di cambiare prospettiva. I problemi li abbiamo ancora, però ora possiamo andare avanti con felicità e con un sorriso sulla labbra”).

Sei assistenti su dieci hanno indicato un miglioramento nella relazione con l’anziano/a assistito. Va sottolineato, in proposito, che diverse lavoratrici non sono state in grado di distinguere il loro rapporto con la persona accudita dalle sue condizioni di salute, e hanno indicato un peggioramento nella relazione spiegando che le condizioni dell’anziano/a si erano aggravate. Nonostante questo limite, evidenziatosi durante gli incontri, diverse assistenti attraverso il miglioramento della sfera affettiva e relazionale mediato dal gruppo hanno aumentato il senso di fiducia nel rapportarsi con gli altri, anche con l’assistito e i familiari (“Ora quando torno a casa abbraccio la signora, la accarezzo. Prima ero più arrabbiata”, “Sono riuscita a parlare con la ‘nonna’ e migliorare il mio rapporto con lei”, “Sono cambiata tanto a livello personale. Prima ero più tesa, adesso mi sento più morbida. Il mio rapporto al lavoro e più elastico, sono più rilassata”, ““Dopo questi bellissimi incontri tratto meglio la mia ‘nonna’ quando lei mi tratta male. Ho imparato a essere più comprensiva nei suoi confronti, a capire che è colpa della sua malattia”).

La vicinanza emotiva per i propri figli all’estero è il tema rispetto al quale si evidenzia meno diffusamente un miglioramento. Alcune donne per poter partire hanno dovuto attuare una sorta di “scissione degli affetti” (realizzatasi anche attraverso partenze notturne, di nascosto), affidando ad altri componenti della famiglia il ruolo di madre. Si tratta, dunque, di un’area intima e potenzialmente fonte di sofferenza, che anche durante il percorso è stata toccata solo quando si è creato un buon grado di conoscenza e di fiducia. Gli incontri hanno consentito alle donne di aprire un’area di riflessione sulle relazioni familiari, un’area assolutamente “congelata”, che a detta delle conduttrici avrebbe meritato ulteriori occasioni di riflessione.

 

Quali prospettive?

Fino ad oggi i servizi, soprattutto quelli pubblici, hanno privilegiato un’offerta orientata a sostenere la prestazione lavorativa delle assistenti familiari attraverso l’incontro domanda/offerta di lavoro privato di cura, la gestione del contratto, la formazione professionale e il riconoscimento delle competenze. In sostanza, un’offerta tesa soprattutto a garantire le famiglie italiane.

Pochi sono i progetti sviluppati considerando le assistenti familiari straniere come madri, mogli e figlie a distanza, con l’intento di mitigare le difficoltà individuali e collettive che una tale situazione genera. Basti pensare alla sofferenza del prendersi cura di qualcuno nella consapevolezza che altri dovranno accudire i propri cari lontani, alla difficoltà di ristabilire una relazione con i figli e con i parenti dopo lunghi periodi trascorsi all’estero, al vuoto di cura che si produce nelle famiglie di appartenenza, all’impatto sui sistemi di welfare locali dei bisogni delle famiglie divise.  

L’esperienza che abbiamo condotto a Milano, seppur limitata, ha mostrato un importante valore formativo e trasformativo sulle donne che vi hanno partecipato[1]. Auspichiamo che i risultati di questo progetto possano favorire spazi di riflessione, all’interno delle attività pubblico-private a sostegno del lavoro privato di cura, sull’opportunità di offrire anche servizi tesi a migliorare la conciliazione lavoro – famiglia – vita personale di queste preziose lavoratrici.



L'articolo sintetizza un contributo pubblicato ad ottobre 2015 su InGenere


[1] Per approfondimenti sul percorso sperimentale si rimanda al report di progetto
 

Copyright | Privacy | Crediti