Quali politiche per il lavoro privato di cura?

di Fabio Capra - Comune di Brescia
di Alessandro Pozzi - Comune di Sesto San Giovanni
di Claudio Minoia - Direttore Centrale Affari Sociali, Provincia di Milano

Ottobre 2007

 

I seguenti tre interventi riportano relazioni tenute al convegno "Quali politiche per il lavoro privato di cura?" , Milano, 2 marzo 2007. L'evento è stato promosso dal nostro progetto Equal "Qualificare il lavoro privato di cura".


Fabio Capra - Assessore ai Servizi alla Persona, alla Famiglia e alla Comunità, Comune di Brescia

Mi limiterò ad alcune riflessioni politiche, visto che mi sono state richieste, ed ovviamente spero che il Sottosegretario ne prenda nota, perché credo che questi siano veramente gli aspetti più importanti del tema, se vogliamo che il fenomeno "badanti" sia governato bene, dal centro alla periferia.

Credo che questo sia un fenomeno che ha che fare con l'integrazione, la collaborazione, la programmazione e la pianificazione.

Ovviamente quando parlo di integrazione lascio a parte le questioni legate all'integrazione sociale; mi riferisco, invece, a ciò che vuole la legge 328, da me ritenerla una grandissima opportunità mai sfruttata fino in fondo, soprattutto la  dove viene proposta l'integrazione tra l'assistenza e le politiche sanitarie. E qui noi abbiamo a che fare con la politica sanitaria, posto che stiamo discutendo di cura di persone non autosufficienti. Sottolineo questo aspetto, perché poi sarà utile per motivare un'altra affermazione di principio. I luoghi nei quali questa integrazione può avvenire sono per esempio in Regione Lombardia i piani di zona, dei quali ci siamo dotati ormai da alcuni anni, che danno buoni risultati se tutti i soggetti profit no profit, politici e sindacali partecipano attivamente e fanno delle politiche assistenziali una programmazione partecipata.

Secondo aspetto, la collaborazione fra i diversi: è un aspetto determinante.  Continuo a dirlo quando capita di confrontarmi politicamente con altri responsabili e con altri amministratori: solo una politica collaborativa riesce ad utilizzare le risorse e riesce a centrare l'obbiettivo, non disperdendo risorse, che sono adesso sempre meno, soprattutto quelle trasferite agli enti locali, e sempre più indispensabili perché indirizzate al sostegno di una sempre più vasta popolazione: quella degli anziani!

Il nostro è in assoluto il paese al mondo con il più forte invecchiamento. Non sottovalutiamo, quindi, collaborazione fra Stato fra la Regione Provincia e Comune.

Che cosa io mi permetterei di chiedere al mio Governo, al mio Stato in ordine a queste politiche sociali? Per esempio detrazioni fiscali per quanto riguarda i contratti per le badanti! Dio mio….. si consente una detrazione del 55% per cambiare gli infissi delle case, i vetri delle case, perché le vogliamo più ecologiche e più risparmiose e non possiamo mettere in atto anche una qualche forma di detrazione per le famiglie che si fanno carico di assumere in modo regolare un'assistente di cura a sostegno dei nostri anziani. A mio avviso non dovrebbe essere difficile: si tratta semplicemente di volerlo fino in fondo. E quindi non più enunciazioni, ma scelte concrete, strategiche, come un forte aumento del fondo per la non autosufficienza, che negli ultimi cinque anni non c'è stato, che ora è stato promesso, che spero ci sia e che sia all'altezza dei bisogni della popolazione. Sono fermo ai dati istat, vale a dire 600.000 non autosufficienti, dei quali 400.000 completamente allettati. Sento forte una responsabilità generazionale, perchè se abbiamo un Paese libero e democratico, lo dobbiamo ai tanti anziani, pensionati e lavoratori, che si sono spaccati la schiena dalla mattina alla sera, consentendoci di avere un Paese meraviglioso e democratico e, quindi, non possiamo stare lesinare sulle pensioni e sulle politiche sociali. Bisogna avere il coraggio politico di andare fino in fondo: è una questione non solo politica, ma a me pare etica e morale. Quindi, un forte fondo per la non autosufficienza, da trasferire agli enti locali e non da gestire a livello centrale e attraverso politiche sociali veramente concrete. Ricordo un esempio del Governo precedente, quando si è voluto dare per i nuovi nati 1000 euro; se questi soldi fossero stati dati agli enti locali, ai Comuni, gli stessi avrebbero potuto fare meglio. Sia chiaro, io sono contento di questa iniziativa, perché tutto ciò che va a beneficio della famiglia è tutto meritorio, non è sprecato, e' un bene immenso. Detto questo, però, chi conosce meglio la situazione delle proprie famiglie, dei propri cittadini, se non gli Amministratori del Comune dove questi cittadini vivono. Se questi soldi, li avessero dati ai nostri Amministratori, forse, avremmo potuto fare qualcosa di più per gli Asili Nido, per il diritto allo studio, per le famiglie.

Non facciamo lo stesso errore: chiedo al Governo un contratto nazionale che stia in piedi; basta un articolo come questo, pubblicato sul mio giornale cittadino, in cui si dice: " Badanti, la stangata del contratto" per vanificare completamente il lavoro dello Sportello. Forse sarà eccessivo, ma il cittadino che si vede recapitare un messaggio di questo tipo, non va allo Sportello a cercare la badante per  contrattualizzarla, va al Gorki Park di Brescia a cercarne una per limitare al massimo le spese. Questa è la realtà, e se posso dirla fino in fondo, io non capisco perché il contratto per le badanti debba essere assimilato al contratto collettivo nazionale di lavoro che disciplina il rapporto del lavoro domestico. Dirò una banalità, ma il maggiordomo è qualcosa di diverso della badante, perché con il primo abbiamo a che fare con la cura della casa, con la seconda abbiamo a che fare con la cura di una persona, che porta con sè problemi completamente diversi.

Non sarà un caso che qualche notabile della mia città sia venuto di nascosto a chiedere la badante, per fargli fare tutt'altro che la badante. Non facciamo nomi e cognomi, ma questo è ciò che capita. E allora il contratto nazionale dei collaboratori domestici può anche costare, se uno può mettersi il maggiordomo, ma la badante deve avere un costo più contenuto.

Abbiamo a che fare con 650.000 caregivers e il contratto è fortemente legato ai flussi immigratori con tutte le problematiche connesse; il Governo si dia da fare, entri in campo, coordini il Tavolo e dia una risposta concreta ai problemi dei propri cittadini e al tempo stesso regolarizzi tante persone che sono venute nel nostro Paese.
Ancora, cosa chiediamo alla Regione in particolare? Un serio governo del territorio, un approccio sussidiario non prevaricante, che non scavalca e che invada competenze altrui. Un governo serio del territorio delle problematiche sociali: la sussidiarietà, (arrivo fin dove arrivi tu, mi do da fare perché insieme possiamo arrivarci), risorse. Spendo solo una parola sui vaucher, perché i miei collaboratori hanno fatto un po' fatica a spiegarmi la differenza con il Buono. Anche qui una provvidenza utilissima, ma la badante  del Vaucher cosa se ne fa? O costituiamo società consortili dei vari enti pubblici, dove può essere speso, oppure smettiamola di riderci addosso e diamo il Buono alla famiglia, con la mediazione dello Sportello o dei Comuni che, forse, lo utilizza meglio. Trovo che sia uno strumento più adeguato per l'asilo nido: a Brescia ne abbiamo tantissimi certificati e molto buoni, per cui è indifferente dove il cittadino lo spende. Ma rischia di essere inutile per l'assistenza all'anziano, lasciando la famiglia, già è in difficoltà e in pena per il proprio caro, a gestire la sua difficile situazione. 



Alessandro Pozzi
- Assessore ai Servizi Sociali, Comune di Sesto San Giovanni*

Quali politiche per il lavoro privato di cura? Questo progetto Equal lombardo è nato per una coincidenza  di intenzioni. Quando ho iniziato a pensare a un percorso per approfondire questo tema, l'Irs ci ha coinvolto nel progetto. Un progetto veramente utile, dove si vengono ad inserire tutte le dimensioni di una politica cittadina, e qui parliamo di politiche del lavoro, per gli stranieri, per gli anziani, i disabili, la casa, la famiglia.

La figura della badante richiama queste diverse dimensioni. La figura dell'assistente familiare peraltro è una figura unica, originale, non può essere assimilata ad altro. Questa figura si inserisce in un contesto particolare, che è quello proprio di tipo familiare. Noi abbiamo fatto un percorso che parte dal presupposto che tutte queste realtà devono essere integrate. I Piani di Zona hanno proprio questo compito, e noi abbiamo lavorato inserendo questo progetto in un Ufficio progetti che è inserito in quello dell'Ufficio di Piano, dove è l'elemento strategico forte su cui bisogna andare, su cui bisogna operare.

La Costituzione dice che la famiglia è il nucleo naturale sociale, ma in realtà dove si vivono le criticità, e quindi se non sosteniamo la famiglia, le criticità a chi vengono delegate? Ecco allora che la famiglia diventa luogo che pone delle preoccupazione agli enti locali, enti che sono istituzionali (Comuni, Province, Regioni, Stato), agli enti formali, (e io qui metto tutti gli enti privati: profit, nonprofit, del terzo settore, del volontariato) e tutte quelle cosiddette reti informali.

Va superata l'idea delle politiche del sussidio - quanti soldi diamo alla famiglia. Le famiglie sì hanno bisogno di risorse, ma hanno bisogno della vera sussidiarietà, che non è fornire solamente denaro, ma anche l'accompagnamento, l'essere tutelati, il sapere che non si è soli, in una sussidiarietà di tipo orizzontale, ma anche verticale, perché anche noi come comuni ci troviamo a svolgere una duplice funzione.

E allora occorre arrivare a questa nuova politica di sussidiarietà e questo progetto ha raggiunto questo obiettivo: mettere attorno ad un tavolo tutte quelle realtà che agiscono su questo tema, e mettere in comunicazione le diverse politiche, i diversi enti, che sono le realtà che in fondo sono già state elencate. In questi enti i comuni quale ruolo devono svolgere? Noi  come comuni oggi ci troviamo, attraverso questo Ufficio di Piano, questo Piano di Zona, a cercare di interpretare quelli che sono i bisogni del territorio. Oggi il Comune si trova troppo spesso di fronte all'esigenza di dire "Non abbiamo le risorse". E allora insieme cercare qualcuno che possa aiutarci a risolvere il problema, ed ecco qua il tema della sussidiarietà che ritorna.

Il quadro dei bisogni è sempre più complesso, più ramificato, ci sono molte più richieste, non è più il semplice problema del minore, del disabile. E' il problema complesso che va a toccare realmente la famiglia nella sua radicalità. E allora questa famiglia si ritrova realmente a dover mettere insieme questi frammenti, a dover fare sintesi. Questo sportello che abbiamo avviato in questo progetto si pone come risposta al disorientamento di una famiglia che magari fino ad un certo punto, come si diceva, vive una situazione di tranquillità e per un imprevisto, un ictus, una frattura del femore, si trova a dover far fronte a una cosa che non riesce più a  gestire.

Il Comune quindi deve riuscire a rendere sostenibile questa dimensione, e ci riesce se a sua volta è sostenuto da questa realtà. Mantenere quindi una rete viva di servizi collegati tra loro è essenziale. Ecco, lo sportello ci ha dato l'opportunità di cogliere che una rete di servizi può essere sostenibile nella misura in cui riusciamo noi a fare sistema, tramite una rete di invii, sostegni reciproci, informazioni.

Le buone prassi: in fondo Equal ha questo obiettivo. Riuscire a rendere disponibili le risorse sul territorio in modo tale che si integrino. E qui interviene il Piano di Zona, per poter dare risposte efficaci, appropriate, efficienti e immediate, perché il problema è l'immediatezza, ma non bisogna fermarsi all'emergenza. Il problema è trovare i facilitatori di questa integrazione: il Comune diventa un luogo di questa facilitazione.

Il tema prioritario è: quale servizio bisogna offrire e qual è il modo più efficace di raggiungere gli obiettivi che ci si pone? Al di là delle ideologie che a volte ci mettono dei freni, è certo che il Comune non può diventare uno strumento che faccia semplicemente il "PAC", come lo definisce la Regione Lombardia - programmazione, acquisto, e controllo - perché il Comune si trova a tu per tu con il cittadino con i suoi drammi. Questo cittadino ce l'abbiamo noi, da affrontare, a cui trovare una sistemazione, e ci è capitato molte volte in sede, io e il dirigente, a dover trovare soluzioni immediate.

Questa sperimentazione deve diventare un servizio integrato, dove vengono valorizzati tutti gli attori attivi.
Prima si è fatto cenno alla Agenzia per la formazione e l'orientamento del lavoro, dove noi andremo a consolidare una collaborazione. Questo è uno spazio di integrazione: tra servizi per il lavoro, Centro per l'impiego, il nostro Consorzio per la formazione professionale. Realtà territoriali diverse, realtà di volontariato, Caritas: tutti questi sono nostri interlocutorei, gli attori attivi che dobbiamo tenere collegati e valorizzare. Ma questo può essere fatto solamente se noi siamo in grado di avere un obiettivo condiviso: il sostegno della famiglia.

E' vero, la debolezza della legge Bossi-Fini non viene a risolvere questo problema, anzi crea dei disagi. Il problema della contrattualistica: noi dobbiamo trovare un contratto leggero, veloce, dove le famiglie non si trovino a dover far fronte ad una situazione difficile, che non garantisce la famiglia e a volte non garantisce nemmeno la badante, e dopo arrivano gli avvocati, e arriva il caporalato, e arrivano tutte quelle situazioni di lavoro che chiamiamo sommerso. Come possiamo premiare una famiglia che dice "no, il mio anziano non lo voglio delegare ad altri, ma lo voglio tenere vicino, in casa"? Come poter sostenere il problema affettivo, perché quando abbiamo a che fare con delle badanti, e ne ho conosciute tante, brave, che ad un certo punto si affezionano, è chiaro che il loro lavoro è temporaneo, e questo è un problema. Come sostenere tutto questo cammino, come riuscire a trovare forme di sostegno per la domiciliarità? Si tratta di domande aperte a cui è urgente dare delle risposte, che i cittadini aspettano da noi Comuni e dagli altri enti locali interessati.

* Testo non rivisto dall'autore.



Claudio Minoia
- Direttore Centrale Affari Sociali, Provincia di Milano

Il mio intervento cercherà di analizzare alcuni snodi  di sistema riferiti alle azioni messe in campo dal progetto fino ad ora realizzato.  L'intervento di Pasquinelli dell'IRS ci pone tre quesiti relativamente a:

• profili professionali dei caregiver
• il ruolo e i modelli degli sportelli per gli stranieri nell'area dell'informazione e dell'orientamento
• quali politiche e priorità di inclusione sociale.

E' stato  molto utile il percorso teorico esposto a suo tempo da IRS e pubblicato come primo contributo del progetto EQUALI punti essenziali delle criticità e delle ipotesi di intervento sono i seguenti:
 
1. gli aspetti di politica fiscale sugli oneri contributivi,
2. gli aspetti della creazione di una figura professionale, 
3. i corsi di sostegno,
4. i percorsi formativi d'incontro al matching,
5. i voucher,
6. la creazione di strumenti di facilitazione per i tutor o in generale interventi di chi è management.

Questi, mi sembrano, ancora oggi, elementi centrali nel nostro lavoro e mi limito per brevità a toccarne solo alcuni per poter dire cosa ha fatto in questi ultimi mesi la Provincia nell'area della formazione delle badanti.
Condivido l'approccio che è stato ripreso e qui presentato rispetto ai due punti cardine, quello del reclutamento delle assistenti familiari e quello del modello organizzativo dello sportello badanti.
Questi due temi sono quelli, come ci hanno riferito le varie esperienze, che vanno affrontati, rimessi a sistema e modellizzati urgentemente.

La Provincia di Milano ha svolto un ruolo di sostegno a favore di alcuni percorsi formativi, in sintonia con quanto deciso a livello regionale nel nuovo Piano Socio Sanitario, facilitando e intervenendo in una decina di casi con percorsi di formazione attribuiti ad agenzie e a enti locali.

In merito  invece al punto n. 6 più sopra citato è stato prodotto un CD, denominato "Formare chi cura", elaborato dal Progetto "Diritti e tutele delle cittadinanze sociali" della Provincia. Il prodotto analizza alcuni elementi fondanti per un approccio diretto alle problematiche del lavoro di cura e viene usato nei corsi realizzati in provincia dai facilitatori, ed è finalizzato a supportare le situazioni di mediazione sociale anche in termini di autoformazione.

Per quanto riguarda l'aspetto formativo, abbiamo impostato uno "spacchettamento" del lavoro sulla figura professionale, a partire dal profilo professionale dell'A.S.A.. E' stata ideata un'ipotesi di progetto formativo di 200 ore, strutturato in unità formative centrate sulle competenze tecnico professionali, su quelle di base e su quelle trasversali all'interno della figura professionale dell'A.S.A.. Non si tratta di un percorso autonomo, perché riteniamo che le fughe in avanti rispetto a profili professionali innovativi e creati ad hoc, non possano ignorare i meccanismi dei sistemi formativi e dell'impianto del sistema formativo lombardo. Quindi, minori disomogeneità si creano sul territorio e più interventi di sistema riusciamo a coordinare, è la modalità operativa che può essere accolta da tutti i soggetti interessati.

Certo è, che il progetto migratorio deve tener conto di un investimento professionale, perché oggi fare un corso di trenta, oppure di duecento ore, non è la stessa cosa e fare un corso di mille ore come in Trentino, presuppone un ben altro investimento.

Noi ci siamo posizionati su percorsi di duecento ore, centosettanta delle quali riconoscibili se vanno avanti gli interventi di sistema come crediti formativi per la figura professionale dell'A.S.A., che ricordo è di seicento ore.
Questa precisazione vuole per rispondere velocemente alle tre sollecitazioni poste da Pasquinelli.
In merito al profilo: assestiamoci sulla figura dell'Assistente familiare, confrontiamone i modelli formativi, anche alla luce dei numerosi progetti FSE approvati a livello regionale, che contengono percorsi di formazione anch'essi con durate entro le duecento ore; serve quindi un confronto tecnico proprio su cosa viene proposto in termini di obiettivi e contenuti all'interno di questi corsi di formazione.

Per quanto riguarda la discussione sul modello dello Sportello - è stata citata l'esperienza di Sesto San Giovanni - ma ricordo che la Provincia di Milano, in questo momento, sta creando alcune Agenzie per la formazione, il lavoro e l'orientamento, che potrebbero rappresentare la sede, il luogo dove permettere una sperimentazione del matching, che è comunque subordinato ai percorsi formali di autorizzazione della mediazione sul lavoro. Noi non vorremmo che ciò venga fatto "in modo approssimato e dal primo che passa", quindi la Provincia di Milano deve impegnarsi come istituzione e come struttura pubblica con competenze del mercato del lavoro.

Vi sono moltissime altre agenzie accreditate a livello regionale in grado di svolgere un buon lavoro, che non è solo di matching, come ci è stato detto nel corso della realizzazione di questo progetto, ma è anche e soprattutto un lavoro che seleziona, che accoglie, che accompagna e che segue le famiglie. Un lavoro che è anche successivo alla collocazione  dello straniero senza occupazione, ed è di presa in carico delle esigenze della famiglia. E' necessario capire la peculiarità di questo tipo di approccio; non si tratta solo di trovare del lavoro a delle persone, perchè questo,  paradossalmente è la cosa più facile vista la carenza nel sistema di welfare dei servizi nei confronti degli utenti anziani.

La cosa difficile, è trovare le persone giuste per il posto giusto, per la famiglia,  per l'anziano che ne ha effettivamente bisogno e saper recepire con le giuste antenne le esigenze, trovando le formule professionali di sostituzione o, diciamo così, di accompagnamento verso le esigenze di quella famiglia che non è standardizzabile più di tanto.

E' perciò da ipotizzare un modello di sportello non soltanto per formazione e orientamento, ma come modello agenziale innovativo da costruire e sicuramente mettere in rete. Cito per concludere tre informazioni su una decina di situazioni che stiamo sostenendo, soprattutto a Milano, a Vimercate e a San Donato Milanese.
A Milano diverse agenzie formative si sono fatte avanti aderendo a una proposta di sperimentazione del percorso formativo e cito per tutte la Ats, che è stata costituita a livello regionale, che ha come capofila la Fondazione Clerici,  che interverrà tra poco sulla piazza di Milano per il percorso formativo per le assistenti famigliari.

Vi sono poi l'esperienza del progetto Network, garantitoci da Offertasociale nel vimercatese, che ci auguriamo possa partire al più presto, oltre ad altre proposte su Milano ancora di Caritas e Fondazione San Carlo e nella realtà territoriale di San Donato Milanese, abbiamo identificato, sia nel Consorzio di formazione, sia nell'Ufficio di Piano di Zona che governa la programmazione del sociale sul territorio nei sensi della legge 328. Per quest'ultimo caso spendo due parole in particolare poiché si tratta di un ufficio che ha un compito istituzionale molto importante e potrebbe essere il luogo giusto in grado di contenere qualche spinta contrapposta. E' un luogo di mediazione,  perché le singole agenzie hanno poi scopi aziendali  specifici, non sempre adeguatamente rapportate alle esigenze dei fabbisogni.

Infine vi sono anche un gruppo di ASP sul territorio di Milano (Pat, Golgi-Redaelli e Don Gnocchi), e lo stesso Comune che si è dichiarato interessato -attraverso l'esperienza di Italia- lavoro- a partecipare a questo tipo di sperimentazione.

Un'ultima sottolineatura: l'esigenza di interventi di sistema di carattere formativo standardizzabili come sportello sono importanti. Non mi appassiona invece il livello di territorialità: se siano i piani provinciali, regionali, locali, municipali, poco importa.

Il problema vero, è trovare una dimensione territoriale corretta, perché non ha senso pensare e ipotizzare dal punto di vista organizzativo immaginare 188 -189 sportelli comunali per questo tipo di esigenze è per questo ho citato i Piani di Zona, è per questo che ho citato anche le diverse agenzie pubbliche che la provincia di Milano sta costituendo, insieme ai Centri per l'impiego, ai Consorzi di Formazione Professionale.  Sono tutte dimensioni sovra locali.

Questa è la riflessione alla quale siamo giunti, anche grazie agli stimoli di questo progetto: i problemi di sistema e l'investimento relativo in materie di formazione mi sembrano gli elementi più importanti che oggi siamo in grado di riprendere e del quale possiamo farci carico, come Provincia.


Il contenuto della newsletter è riproduciabile citando, in caratteri ben visibili, la fonte: "www.qualificare.info".

 

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