Dopo il “pacchetto sicurezza”

di Marco Cerri - sociologo, formatore
Luglio 2009



Il Ddl 733-B recentemente approvato in via definitiva dal parlamento contiene una serie di norme tese a rendere più restrittivi i dispositivi di regolazione dell’immigrazione in Italia, tra cui il reato di clandestinità, l’inasprimento delle pene per il favoreggiamento dell’immigrazione e diverse altre.

Il provvedimento è stato definito da politici, giornalisti, ed osservatori come Decreto sicurezza; visto dall’osservatorio periferico e, al tempo stesso, strategico del welfare informale e sommerso, questa definizione suona paradossale. Sicurezza infatti deriva dal latino securus, composto da se (disgiuntivo) e cura, laddove quest’ultima assume la accezione di preoccupazione, affanno; sicurezza rimanda pertanto a forme istituzionali di garanzia, sostegno e facilitazione dei processi di gestione della quotidianità riproduttiva dei cittadini.

L’impressione è invece che questo decreto tenderà ad aumentare l’incertezza, la preoccupazione e l’insicurezza dei principali attori della cura di anziani e disabili nel nostro welfare familistico e privatistico.

Il fatto che già a distanza di qualche giorno dall’approvazione emergano nella stessa maggioranza di governo voci dissonanti che sottolineano la necessità di un intervento di regolarizzazione nei confronti delle assistenti famigliari clandestine oppure che prefigurano una sostanziale inapplicabilità della norma relativa al reato di clandestinità, non fa che aumentare presumibilmente sul medio periodo l’incertezza e il timore di assistenti e famiglie datrici di lavoro.

Dal lato della domanda di lavoro di cura, verrà chiarito dalle misure attuative in quale misura le famiglie possano incorrere nel reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, laddove viene specificato che anche il solo finanziamento del viaggio, oltre alla promozione, direzione e organizzazione del trasporto, è passibile di una pena reclusiva da 1 a 5 anni (art. 1, comma 26).

Ma indipendentemente da un’eventuale rischio di criminalizzazione delle famiglie, si può facilmente prevedere che la nuova normativa in una fase iniziale svilupperà una tendenziale crescita delle preferenze nei confronti di donne italiane, presumibilmente frustrata dalla loro indisponibilità, quantunque vi siano flebili ma significativi segnali degli effetti della crisi dell’occupazione femminile in corso. Più facilmente prevedibile una crescita delle ansie connesse all’assenza di stabilità emotiva ed istituzionale delle relazioni tra anziano, caregiver principale e badante, già di per se contraddittoriamente complesse.

La precarietà dei rapporti è inscritta, da una parte, nella tendenziale mobilità dell’assistente famigliare alla ricerca di condizioni di lavoro più favorevoli e, dall’altra, del potenziale venir meno della domanda famigliare a seguito di ospedalizzazioni dell’anziano, peggioramento delle sue condizioni psico-fisiche o addirittura la sua morte.

Con la nuova legge presumibilmente si produrrà un’ulteriore precarizzazione emotiva delle relazioni produttive e un considerevole aumento delle ansie abbandoniche; in questo contesto non è da escludere una risposta affettivamente reattiva reciproca, all’interno della quale la casa tenderà, per lo meno temporaneamente, ad essere ulteriormente investita come spazio emotivo di protezione, luogo claustrale all’interno del quale trovare reciprocamente rifugio ed accoglienza, in una progressiva ossificazione dell’invisibilità sociale dell’anziano e del lavoro impossibile del caregiver e della badante.

In altri termini i fragili tentativi delle politiche pubbliche di governare i caotici e spontanei processi sociali che hanno accompagnato la crescita esponenziale di quello che è stato variamente definito attraverso ossimori quali welfare sommerso, informale, privato, ecc. rischieranno di subire un consistente ridimensionamento. Politiche formative, sportelli di incontro domanda/offerta, forme di sostegno alla famiglia nella scelta e nel governo dei processi lavorativi, ecc.; i servizi pubblici hanno faticosamente teso in questi anni a sottrarre le relazioni triadiche famiglia/anziano/badante al predominio di pulsioni arcaiche attraverso la funzione di un terzo istituzionale in grado di costruire consensualmente una definizione aperta ma formalizzata di confini e ruoli.

Laddove questi sforzi vengono inibiti i soggetti della relazione ritornano ad essere prede di pulsioni di inglobamento, frammentazione, distruzione, oppure, specularmente, di meccanismi compensatori e simbiosi identificatorie. E in questo contesto il sistema dei servizi rischierà di tornare ad essere spettatore impotente dei processi di privatizzazione familistica del welfare.
 

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