Il lavoro di cura in Europa: un confronto internazionale

di Giovanni Lamura e Carlos Chiatti - INRCA, Ancona (*)
Gennaio 2011

 

Nella prima Conferenza internazionale su “Politiche di long-term care basate sull’evidenza”, tenutasi presso la London School of Economics lo scorso 8-11 settembre, si è svolto un confronto dedicato al tema del “Lavoro di cura degli immigrati nell’assistenza continuativa agli anziani”. La sessione è stata fortemente voluta dagli organizzatori del convegno, alla luce della crescente rilevanza internazionale dei flussi migratori nel settore della assistenza continuativa, o long-term care (LTC). Dalla giornata è emersa la fotografia di un fenomeno diversificato a livello internazionale, ma al tempo stesso la presenza di linee di tendenza comuni.
 
Convergenze e divergenze nell’impiego dei lavoratori immigrati

In Europa esiste oggi una notevole differenziazione per quanto riguarda l’impiego dei lavoratori stranieri nel settore LTC. Giovanni Lamura, introducendo la sessione del convegno, ha evidenziato come le modalità attraverso cui viene impiegato il lavoro di cura degli immigrati sono influenzate dalle caratteristiche del sistema di welfare, dalle politiche migratorie e del mercato del lavoro nel paese ospitante.
 
Una domanda che i lettori di Qualificare potrebbero porsi è se il fenomeno delle assistenti familiari (le c.d. badanti), così come osservato in Italia, esista altrove. La risposta a tale quesito è affermativa, anche se le caratteristiche assunte dal fenomeno nel contesto italiano non sono riscontrabili in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Dalle analisi di tipo comparativo emergono, infatti, tre prevalenti modelli di impiego dei lavoratori immigrati.
 
1)      Nei Paesi dell’area mediterranea il fenomeno ha assunto dimensioni rilevanti e gli immigrati sono assunti soprattutto dalle famiglie alle prese con familiari anziani non autosufficienti. È questo il caso italiano ma anche quello di Spagna, Portogallo e Grecia.
 
2)      Nei Paesi scandinavi la presenza di lavoratori stranieri tra le mura domestiche è minoritaria mentre sono in aumento le loro assunzioni nell’ambito dei servizi domiciliari e residenziali.
 
3)      Tra questi due modelli estremi si trovano le soluzioni intermedie di altri Paesi, che oscillano tra una maggiore concentrazione di lavoratori stranieri nei servizi formali (es. Regno Unito e Francia) o una loro maggiore presenza presso le famiglie, soluzione tipica del regime continentale di Austria e Germania.
 
Tre differenti casi Europei: Italia, Regno Unito e Germania

Nel corso del convegno di Londra, sono state presentate le caratteristiche di tre casi nazionali, nei quali il lavoro di cura degli immigrati ha assunto negli ultimi anni una crescente rilevanza, pur configurandosi attraverso modalità differenti.
 
  • Giovanni Lamura ha esposto le peculiarità dell’Italia, note ai lettori e pertanto qui non dettagliate, e individuabili nella centralità del supporto famigliare, nella scarsa offerta di servizi e del ruolo fondamentale ricoperto da trasferimenti monetari statali e locali. Le sfide che si aprono per il nostro Paese si riferiscono principalmente all’emersione del lavoro irregolare, alla formazione delle assistenti, alla qualità delle cure prestate e alla tutela dei diritti degli immigrati.
     
  • George Leeson (Oxford Institute of Ageing) ha esposto la situazione nel Regno Unito. Qui, quasi un lavoratore del settore LTC su cinque ha origini straniere, con punte del 35% tra il personale infermieristico. I tassi di assunzione di personale immigrato sono raddoppiati nell’ultima decade, soprattutto nell’area di Londra, dove ormai oltre il 60% di tutti gli operatori del settore sono nati all’estero. In gran parte si tratta di soggetti che hanno cominciato ad operare in tale ambito solo successivamente al loro ingresso nel Regno Unito (e quindi non immigrati per tale motivo), ed in minima parte secondo modalità irregolari. Prevalentemente assunti da agenzie private, questi lavoratori percepiscono spesso remunerazioni inferiori a quelle del settore pubblico, talora anche al di sotto del salario minimo, ma la carenza di dati attendibili impedisce di chiarire la reale diffusione di possibili fenomeni di sfruttamento e discriminazione.
     
  • Hans-Joachim von Kondratowitz (German Centre on Ageing) ha evidenziato come il fenomeno dell’assunzione di personale di cura straniero in Germania interessi sia il settore dei servizi domiciliari e residenziali che, in misura sempre crescente, le stesse famiglie. Una stima che circola ormai da diversi anni parla di circa 100.000 immigrate assunte da famiglie tedesche, prevalentemente in forma irregolare. I motivi di tale scelta sono legati all’insufficienza delle prestazioni erogate dal sistema di assistenza formale (la Pflegeversicherung) – nonostante la recente riforma che ne ha aumentato l’importo delle indennità erogate – soprattutto quando le esigenze di cura sono intense. L’irregolarità dell’assunzione è a sua volta legata ad un divieto per i lavoratori di cura di operare nell’intero arco delle 24 ore. Per ovviare a tali restrizioni alcune agenzie straniere (prevalentemente polacche) hanno di recente cominciato ad operare sul territorio tedesco attraverso manodopera impiegata a rotazione ed ufficialmente residente all’estero.
 
Il punto di vista dei Paesi esportatori di manodopera di cura: il caso della Romania

Una differenza non trascurabile a livello europeo è il persistente divide tra i Paesi della vecchia Europa, “importatori” di manodopera di cura, e i Paesi dell’allargamento ad Est, da dove molti degli immigrati del settore provengono. La frattura esistente tra le due Europe è ancora evidente, pur in presenza di alcuni segnali di cambiamento. Alcune nazioni storicamente esportatrici di lavoratori nel settore LTC, iniziano oggi ad essere loro stesse importatrici di manodopera straniera da altri aree del globo. Si stanno creando le cd. catene di cura internazionali, in inglese global care-chains. È questo il caso della Polonia, ad esempio, da dove proviene gran parte delle assistenti familiari assunte in Italia, divenuta destinazione di immigrati provenienti da Bielorussia e Ucraina. Spesso, sono le stesse lavoratrici polacche in Italia ad assumere personale straniero per assistere gli anziani familiari rimasti in patria senza poter contare sul loro supporto.
 
Alla conferenza di Londra, Agnes Nemenyi (Babes-Bolyai University) ha fornito il punto di vista di un Paese “esportatore” di manodopera, esponendo l’impatto del fenomeno sul tessuto socio-demografico della Romania. L’intervento ha sottolineato come la motivazione economica sia chiaramente quella che caratterizza la maggior parte delle immigrate da questo paese, ma che la loro concentrazione nel settore della cura sia dettato più dalla peculiare domanda di LTC in Occidente, piuttosto che dalle loro aspirazioni professionali. Quello che spesso sfugge agli osservatori del nostro Paese è l’elevato costo sociale delle emigrazioni nei paesi di origine delle assistenti familiari. Indicatori esemplificativi di questi costi sono la crescita dei divorzi, il numero di anziani isolati e senza supporto filiale, o il fenomeno dei cosiddetti “bambini italiani”, termine con il quale nei paesi dell’Est Europa vengono identificati i figli delle badanti all’estero: economicamente avvantaggiati dalle rimesse inviate dai genitori, ma privi del supporto emotivo e psicologico delle proprie famiglie.
 
Implicazioni di ricerca e policy

La cura degli anziani, ovunque in Europa, è sempre più delegata a personale immigrato. Le tradizioni locali di welfare influiscono sulle modalità attraverso le quali si configura questa delega: in alcuni Paesi è nei servizi formali che gli stranieri trovano principale impiego, in altri è presso le famiglie. In alcuni casi, il problema dell’irregolarità è più fortemente avvertito (ad esempio in Italia, Spagna, Grecia e Germania), e questo spesso può dipendere dalle caratteristiche delle prestazioni monetarie concesse agli anziani non autosufficienti e ai loro familiari. In particolare, prestazioni monetarie concesse senza alcun vincoli di spesa, in contesti territoriali caratterizzati dalla scarsità (o dall’onerosità) dell’offerta di servizi, sembrano incentivare le famiglie a rivolgersi a personale straniero, spesso secondo modalità irregolari.
 
Al di là dell’analisi descrittiva del fenomeno, sono emersi interessanti spunti per la ricerca e la policy. Anzitutto, i risvolti sociali e psicologici determinati dal fenomeno nei Paesi di origine dei lavoratori, suggeriscono l’urgenza di una maggiore collaborazione tra i Paesi interessati dai flussi migratori. Ulteriore elemento degno di nota concerne la difficoltà, da parte dei maggiori Paesi di destinazione, di adottare politiche integrate migratorie, assistenziali e del lavoro – tali cioè da affrontare la tematiche con un approccio complessivo, e non meramente settoriale o addirittura emergenziale. La stessa scarsità di informazioni sul numero e le caratteristiche dei lavoratori stranieri, emersa in tutti i Paesi considerati, riflette l’ancora scarsa attenzione dei policy-maker nei confronti del fenomeno.
 
L’analisi delle tendenze, delle politiche e degli interventi in atto nel settore, sia a livello nazionale che locale, potrebbe senz’altro beneficiare da un approccio di tipo comparativo. A tal proposito, va detto che, pur nell’impossibilità di applicare direttamente nel nostro contesto esperienze straniere di successo, i decisori pubblici potenzialmente potrebbero trarre guardando altrove utili spunti per la regolazione di un fenomeno, quello della presenza migratoria nel settore LTC, che l’analisi svolta rivela predominante a livello europeo e tutt’altro che transitorio.
 

(*) INRCA, Centro di Ricerche Socio-economiche e modelli assistenziali per l’anziano, Ancona.
Giovanni Lamura è attualmente visiting scholar presso lo 
European Centre for Social Welfare Policy and Research di Vienna. 

Copyright | Privacy | Crediti