Ricerche

Cittadini non comunitari: in calo i permessi di soggiorno rilasciati
Nel 2012 sono stati rilasciati 263.968 nuovi permessi di soggiorno, quasi il 27% in meno rispetto all'anno precedente, diminuzione che ha interessato gli uomini (-33%) più delle donne (-19,5%). Lo ha reso noto l’Istat nel report “I cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti”, pubblicato lo scorso 30 luglio. Al 1° gennaio 2013, in base ai dati forniti dal Ministero dell’Interno, sono regolarmente presenti in Italia 3.764.236 cittadini non comunitari, in aumento di 127 mila unità rispetto all’anno precedente. I paesi di provenienza più rappresentati sono Marocco (513.374), Albania (497.761), Cina (304.768), Ucraina (224.588) e Filippine (158.308). Cresce il radicamento territoriale: i soggiornanti di lungo periodo (in possesso di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, che può essere richiesto solo da chi possiede un permesso di soggiorno da almeno 5 anni) costituiscono ormai la maggior parte dei cittadini non comunitari regolarmente presenti (54,3%).
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Terzo Rapporto annuale sul mercato del lavoro degli immigrati
Sono circa 2 milioni e 334 mila gli occupati stranieri nel 2012 in Italia, 83mila in più rispetto all’anno precedente. Due settori fanno registrare una diminuzione dell’occupazione straniera: l’industria in senso stretto e le costruzioni, che occupano circa 770mila lavoratori stranieri. Aumenta invece il numero di stranieri occupati nei servizi alla persona, dove l’incremento di circa 70mila occupati rispetto al 2011è coperto per 8 decimi da lavoratori stranieri, quasi tutte donne. Secondo il Rapporto, a cura della Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione, è in corso una trasformazione quantitativa e qualitativa della domanda di lavoro riservata ai lavoratori stranieri che si contrae nei comparti manifatturieri, cresce quasi esclusivamente nei servizi alla persone e che si impoverisce.
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Il welfare come risorsa
Da costo a investimento. Questa il cambio di prospettiva sul welfare italiano chiesto dalla Rete “Cresce il Welfare, cresce l’Italia” – promossa da 40 organizzazioni sociali che operano nel campo dell’economia sociale, del volontariato e del sindacato. Nel rapporto, messo a punto da un gruppo di ricercatori, coordinati da Andrea Ciarini dell’Università “La Sapienza” di Roma, si legge che in Europa, tra il 2008 e il 2012 (nel pieno della crisi), a fronte di una perdita di occupazione nei comparti manifatturieri di 3 milioni e 123mila unità, l’incremento nei servizi di welfare, cura e assistenza è stato pari a 1 milione e 623mila unità (+7,8%). Solo alcuni Paesi europei si sono resi conto che il welfare può essere un volano per la ripresa economica. E fra questi non c’è l’Italia, dove la spesa sociale viene compressa, l’assistenza è massicciamente delegata alle famiglie, ci sono limitati e risibili sgravi per l’occupazione domestica e di assistenza, favorendo il lavoro sommerso.
La Rete “Cresce il Welfare, cresce l’Italia” avanza invece una proposta diversa e complementare per il rilancio dell’occupazione, dell’economia e per il sostegno alle famiglie italiane, proponendo al Governo l’adozione di alcune misure strategiche:
• finanziare adeguatamente i Fondi per il sociale (azzerati per il 2014) anche al fine di estendere e qualificare la rete dei servizi sui territori;
• dotarsi di un Piano nazionale per la non autosufficienza e di un Piano di contrasto alla povertà;
• aumentare la solvibilità (cioè la capacità di pagare) delle famiglie italiane per l’assunzione di assistenti familiari, ma in un quadro di maggiori e migliori servizi pubblici di assistenza alle persone;
• favorire l’emersione del lavoro nero aumentando significativamente gli incentivi fiscali e contributivi;
• favorire la qualificazione e la tutela dei lavoratori; investire per il raggiungimento degli obiettivi europei di presa in carico della prima infanzia, in particolare quelli relativi agli asili nido;
• raccogliere l’opportunità offerta dalla decisione della Commissione UE che ha concesso all’Italia una maggiore flessibilità di bilancio nel 2014 per investimenti produttivi e per rilanciare la crescita.
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Gran Bretagna: paga delle badanti al minimo
“Uno scandalo nazionale”. Sarebbero tra 160 e 220mila, su un totale di circa 830mila, le assistenti familiari pagate meno del minimo legale nel Regno Unito. Secondo lo studio “Does it pay to care”, a cura di Mattew Pennycook per la Resolution Foundation, si tratta di una situazione pericolosa non solo per le lavoratrici, ma anche per gli assistiti, a rischio di ricevere cure inadeguate. Il problema sorge, secondo lo studio, a causa della natura frammentata del servizio: le persone bisognose di cure domiciliari tendono (sempre più) a richiedere assistenza in alcune ristrette fasce orarie della giornata (la mattina per l’igiene personale, verso mezzogiorno per la preparazione dei pasti, ecc.) e le assistenti vengono pagate solo per le ore di lavoro svolto, senza ricevere alcun contributo per gli spostamenti fra un cliente e l’altro. Ciò è all’origine di un abbassamento, di fatto, del loro compenso orario al di sotto del minimo di £6.19 previsto dalla legge.
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Da: West Info   

Francia: rallenta l’impiego diretto degli assistenti alla persona da parte delle famiglie
L’INSEE, l’Istituto nazionale di statistica e studi economici di Francia, ha diffuso un report sui servizi alla persona dal quale si evince che i lavoratori del settore, nel 2010, erano 1 milione 800mila, e rappresentavano il 5% di tutti gli occupati francesi. Il “lavoratore tipo” è costituito da donne, over 55, lavoratrici part-time, per un salario medio di circa € 12,30 lordi l’ora. Circa 2/3 di loro si occupa di anziani over 75 non autosufficienti. Il rapporto segnala, tra il 2008 e il 2010, un rallentamento nel numero di ore di servizio alla persona retribuite, soprattutto nel caso di assunzione diretta del lavoratore da parte delle famiglie. (verificare)
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